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REVOLUTIONARY ROAD Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 febbraio 2009
 
di Sam Mendes, con Kate Winslet, Leonardo DiCaprio, Kathryn Hahn, Kathy Bates, Michael Shannon, David Harbour (Stati Uniti, 2008)
 
È la tradizionale efficienza degli americani che sta monopolizzando in queste settimane i nostri schermi con gli imminenti oscarizzabili, IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON, THE MILLIONAIRE, MILK, FROST/NIXON, THE READER, REVOLUTIONARY ROAD: non uno dei più eclatanti, quest'ultimo, ma di certo fra i più profondi. Ed è una costante che andrà sottolineata dell'aria che tira: la tenuta a freno della forma, dell'inventiva espressiva, in favore di un approfondimento dei contenuti. Riflesso probabile del periodo che il mondo sta attraversando.

Sam Mendes significava finora AMERICAN BEAUTY, del quale l'autore riprende qui le preoccupazioni, la disgregazione della coppia come riflesso delle contraddizioni della società, la crisi dell'individuo di mezz'età in rotta con le promesse evanescenti del sistema economico, sociale, esistenziale. Condotta sul filo di una grande direzione d'attori, sulla rediviva, anche se qui ammosciata, mitica coppia del TITANIC, su una Kate Winslet colta nei significati frementi di una splendida ritenuta, REVOLUTIONARY ROAD, dal nome della tradizionale infilata di villette borghesi nella periferia nuovayorchese del 1955, è tra i film i più ambiziosi (Ingmar Bergman, magari, è lontano), ma soprattutto coinvolgenti nati di recente dalla sbrigativa produzione di oltre oceano.

Una necroscopia dei sentimenti e delle motivazioni, che incide con una forza insolita nello spettatore: anche se la traduzione in immagini del romanzo di Richard Yates è voluta con poche grida (l'intervento di uno scatenato Michael Shannon, nei panni del vicino schizofrenico, il solo a denunciare lucidamente l'ambiguità dilagante della situazione) e tanti sussuri, la fotografia dai beige sfumati di Roger Deakins, il taglio teatrale dei tempi e degli ambienti ereditato dai primi amori del regista britannico, la scansione ripetitiva della musica di Thomas Newman. Raffinato amalgama di talenti; e il risultato non può essere in defintiva che la scomparsa dell'ironia scanzonata sulla quale si costruiva AMERICAN BEAUTY, in favore della melanconica amarezza che permea, dieci anni dopo, la medesima perdita delle illusioni nel sogno.


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